Il gabbiano Jonathan Livingston2
"Ma a sue spese scoprì che, a pensarla in quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli altri uccelli. E anche i suoi genitori erano afflitti a vederlo così: che passava giornate intere tutto solo, dietro i suoi esperimenti, quei suoi volli planati a bassa quota, provando e riprovando.
Non sapeva spiegarsi perché, ad esempio, quando volava basso sull'acqua, a un'altezza inferiore alla metà della sua apertura alare, riusciva a sostenersi più a lungo nell'aria e con meno fatica. Concludeva la planata, lui, mica con quel solito tuffo a zampingiù nel mare, bensì con una lunga scivolata liscia liscia, sfiorando la superficie con le gambe raccolte contro il corpo, in un tutto aerodinamico. Quando poi si diede a eseguire planate con atterraggio a zampe retratte anche sulla spiaggia (e a misurare, quindi, coi suoi passi, la lunghezza di ogni planata), i suoi genitori si mostrarono molto ma molto sconsolati.
"Ma perché , Jon, perché?" gli domandò sua madre."Perché non devi essere un gabbiano come gli altri, Jon? Ci vuole tanto poco! Ma perché non lo lasci ai pellicani il volo radente?agli albatri?E perché non mangi niente?Figlio mio, sei ridotto penne e ossa!".
"Non m'importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può fare su per aria, e cosa no: ecco tutto. A me preme soltanto di sapere."
(sapete perché mi piace questo racconto? perché ci sono piccole perle di saggezza in questo gabbiano....siamo tutti un pò come lui, in fondo....)
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