Cara Daniela,
mi chiamo Isa. Io adesso "convivo" con un sacerdote, malato terminale, di tumore. Tumore al rene, poi metastasi polmonari e poi metastasi ossee. Quando, quest'estate, è stato decretato il suo stato e abbiamo quindi interrotto definitivamente le terapie e iniziato con la morfina, abbiamo scelto di non dirgli nulla. Poi mi sono venuti i tuoi stessi dubbi e scrupoli, ma inizialmente, mentre era ancora in ospedale, è stato lui a chiedermi, espressamente, di non dirgli nulla e di occuparmi io di tutto, di parlare con i medici, di sentire l'
oncologo e decidere il da farsi. Oggi, da quando è a casa, circondato dai suoi affetti, pian piano, prende consapevolezza. Non gli andiamo a dire la nuda e cruda verità, ma neanche balle. Non minimizziamo il suo stato, ma nemmeno gli togliamo ogni speranza. Non so come spiegarlo, ma in realtà, è un dialogo che ogni tanto inizia, poi è lui stesso a interromperlo e cambiare discorso. Lui, secondo me, sa benissimo di essere terminale. Quello che invece forse ancora non sa, è:
1. come gestire la cosa fra se e se (stare inchiodati in un letto a chiedersi "quando?" non è facile)
2. come gestire poi la cosa con tutti noi
Credo che abbia scelto di giocare la sua "Finale di Campionato" e se lui resta in campo a correre, allora lo stesso facciamo noi.
Credo che qualsiasi scelta tu abbia fatto, tu l'abbia fatta per amore, per proteggere tua mamma ed evidentemente, questo è stato il tuo modo. Il modo di sua figlia. E di sicuro, va bene così. Stai tranquilla, serena, di questo lei ha bisogno essenzialmente. Ti abbraccio, mi dispiace davvero tanto e ti sono vicina. Isa