I risvolti psicologici del non amare di essere contraddetti
A volte capita di assistere a dei dibattiti fra personaggi politici dove è un continuo contraddirsi, senza che nessuno degli interlocutori perda più di tanto il suo aplomb. Però ciò avviene solo fra interlocutori che sanno che ciò che dicono non è un loro capriccio ma rappresenta l'idea di un "partito". E in questo caso si verifica una certa spersonalizzazione dello "scontro": non più fra persone ma fra posizioni di diversi partiti.
Sembra irrilevante ma questo fatto ha delle implicanze e risvolti a livello psicologico secondo me molto importanti.
Se difatti andiamo vedere i comportamenti della gente comune, fra cui mi ci metto anch'io, ci accorgiamo che l'atmosfera che si crea quando si affrontano certi argomenti fra persone che la pensano diversamente è molto meno "serena" di quello che si crea fra professionisti della politica.
Il motivo di questo secondo me è che, mentre fra i politici la figura "individuale" di chi parla ha l'appoggio dietro di tutto un partito e questo è il garante delle posizioni che uno esprime, e che può esprimere in piena libertà, fra le persone "normali" che fanno di tutto per non sembrare appartenenti a fazioni diverse, il parlare apertamente di fronte agli altri delle proprie posizioni politiche sarebbe motivo di disagio perché si romperebbe l'omogeneità del "gruppo".
Questo porterebbe alla formazione immediata di fazioni. Però la cosa peggiore sarebbe che in tali fazioni nessuno potrebbe scaricare la responsabilità delle proprie affermazioni su un partito, ma se ne dovrebbe assumere in prima persona la paternità. Con la conseguenza che sentirsi contraddetti non risulterebbe accettabile in quanto non verrebbe contraddetta la linea di un partito ma la legittimità di poter esprimere posizioni di un partito diverso.
Volendo andare ancora più a fondo si potrebbe dire che il "partito" è legittimato dall'essere "fazione" dalla sua stessa natura: cioè tendere al consenso e al "potere"; anche se in ultima istanza poi il suo scopo è sempre quello di cambiare in meglio le sorti di un paese.
La persona che invece parla di politica non ha questa legittimazione della conquista del potere, ma può solo esserlo per il cambiamento in meglio delle sorti del suo paese.
Sotto questo aspetto perciò ogni affermazione tesa a questo scopo rappresenterà una verità assoluta e non criticabile in quanto espressione
di quella verità che scaturisce da una persona e dalla sua psiche.
E come sappiamo la psicologia non ci offre verità oggettive ma soggettive e come tali "assolute" e insindacabili, o almeno cosi vengono percepite da tutti.
La conclusione di tutto il discorso è che solo i policiti di professione sono "abilitati" a parlare di politica, mentre a tutti noi rimane ben poco spazio per partecipare al dibattito.
Comunque questo non è un auspicio, ma solo il riconoscimento di un fatto e di una impossibilità oggettiva di partecipazione.
Ciao
Giovanni
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