Caro Nanni la tua domanda è ben più di una domanda teologica. E' "la domanda", ma è anche la "tua" domanda. Io provo a darti una risposta, ma è la mia risposta non "la risposta". Premetto che tutto ciò che scrivo deve essere necessariamente visto e letto attraverso la lente della FEDE, questo è un dato imprescindibile e non esistono vie di mezzo: o la si ha o non la si ha, è un dogma e come tale non comporta risposte o discussioni.
Se molti bambini soffrono o muoiono di fame, la causa va ricercata nell'egoismo e nell'avidità dell'uomo, e nel menefreghismo nei confronti dei più bisognosi. Non è Dio che manda le guerre o le carestie, i terremoti o le alluvioni. È l’uomo che nel suo egocentrico egoismo compromette quanto di più bello Dio ci ha dato: la natura ed i suoi frutti. Se in Africa c’è la fame più estrema nonostante ci sia petrolio ed altre risorse naturali in abbondanza è perché l’uomo, pochi nativi e tanti occidentali, sfruttano tali risorse per il solo loro tornaconto. Comunque è meglio non continuare su questo argomento.
Le malattie, le sofferenze e la morte, hanno avuto origine con la caduta dell'uomo. Dio non creò l'uomo perché soffrisse: "Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono" (Genesi 1:31).
Dio creò l'uomo affinché godesse la vita eterna in comunione perenne con Lui, gli diede una compagna e lo circondò con tutte le cose buone che aveva creato. Tutto questo avvenne fino al giorno in cui l’uomo voltò le spalle a Dio. Prima d'allora vi era un'intima e perfetta comunione tra la creatura ed il suo Creatore, tanto che il Signore scendeva nel giardino di Eden per incontrare l'uomo (Genesi 3:8,9).
Qual è l'essere umano che, durante la sua vita non sia stato almeno una volta, preoccupato da questo problema? Trovatemi, amici, un crimine, un'ignominia, un'ingiustizia, una guerra, un cataclisma di cui Dio non sia accusato di essere l'autore!
Giovanni Paolo II con la Sua enciclica “Salvifici doloris”, ci aiuta a trovare delle spiegazioni, non risposte perché queste le dobbiamo trovare dentro noi.
“- la vita è un dono molto buono, sempre - Dio non può dare il male - Il male fisico è conseguenza della precarietà, del limite della natura umana e Dio ci consola: non toglie le lacrime ma le asciuga (ha sofferto molto anche Gesù, figlio di Dio) - Non possiamo misurare la bontà di un dono con criteri umani perché il dono viene da Dio e quindi deve essere valutato con i criteri divini che per noi sono misteriosi ma decifrabili considerandoli alla luce dell'amore di Dio che è Padre - Il dolore fa parte della condizione umana (non è un castigo), esige rispetto, premura, cura, comprensione, vicinanza, partecipazione, amore: basta leggere il Vangelo per vedere come Gesù si è comportato davanti al dolore, alle malattie, alla morte! - Il male fisico è un fortissimo richiamo alla solidarietà, alla carità, alla pietà. - Nonostante quanto detto più sopra il dolore è dolore ma spesso ciò che al momento fa male produce poi un bene (anche nel campo terapeutico e noi lo sappiamo benissimo!) e sicuramente ne verrà un grande bene per chi ha sofferto e per chi è stato vicino al sofferente”.
La malattia non è voluta dal Signore perché è un male. È solo permessa, tollerata, perché possa servire ad un bene più grande.
Proprio perché è un male dobbiamo far di tutto per eliminarla.
In “Salvifici doloris”, Giovanni Paolo II ha detto che “il Vangelo è la negazione della passività di fronte alla sofferenza. Cristo stesso in questo campo è soprattutto attivo” (SD 30).
Io non direi che il Signore permette le malattie per metterci alla prova. Direi piuttosto che Dio le permette perché ingrandiamo la nostra capacità di amare e per farci portare frutto. Non dev’essere tempo perso neanche quello in cui siamo impediti nel fare il nostro dovere quotidiano a causa della malattia e Don Angelo ne è un esempio chiaro e forte. La Chiesa ha sempre insegnato che è un dovere per ogni persona malata curarsi con tutti i mezzi proporzionati.
In tal senso si è espresso Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae: “Si dà certamente l’obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte” (EV 65). E questo esemplifica bene il mio rifiuto alle cure ad ogni costo o all’accanimento terapeutico già dal momento in cui verrò a conoscenza che non esistono altre cure con prospettive di miglioramento. Scusatemi tutti se mi sono dilungato tanto e a piene mani ho preso da due Encicliche di un Papa che amo in particolar modo ma l’argomento è troppo importante per racchiuderlo in un solo post e non credo che questo sia il luogo adatto.
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Un carissimo saluto da Franco
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