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Vecchio 12-06-2010, 06:13 PM
Fioraia Fioraia non è in linea
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Io prima o poi da quel bar della stazione di Benevento però passerò, giuro! Sono troppo divertita all'idea di Domenico al bancone!

Monia carissima, si sente l'aria natalizia, qui siamo circondati dalle lucine, mentre per i profumini, essendo a dieta, per ora evito accuratamente. Figurati che mi tocca calcolare di mangiare prima il minestrone per poi poter subire mia figlia che si magna di tutto e di più! Facci avere nuove, stagli sotto a tutti con allegria, ma costanza....

Tommy in effetti Monia ha ragione, per riscuotere il credito, meglio mandargli una giovane fanciulla, possibilmente magrebina, per par conditio! Comunque visto che di grandinate ne dovrebbe prendere parecchie quest'inverno, forse dovresti, come carrozzeria, chiudere con lui un bel accordo quadro magari davanti ad un incantevole cous-cous!!

Franca, dove sei?! Myta e Giuly, vi riaffacciate qui?Elly come sta Pasquale? Franco ma a quanto è arrivato il tesoretto di Enrico? Ti allego di seguito un testo, caso mai mi diventassi pure Diacono fra poco!

Baci a tutti, vado verso la porta non stretta ma strettissima della chiesa, ebbene si lo confesso, la messa da piacevole è diventata estremamente pesante! Altra penitenza....

Allego articolo apparso Sul corriere di ieri a tal proposito
Predicatori Non più di 8 minuti per raccontare la fede
Si devono evitare omelie generiche e astratte. Come le inutili divagazioni

«D oh, avete voi mai veduto pescare a lenza?». «Sì». «Elli si piglia uno lombrico, e mettesi all' amo, e ' l pesce va per pigliare el lombrico, e rimane preso lui. Vedi che per avere il cibo rimane preso il pesce...». Il grande predicatore francescano Bernardino da Siena la sapeva lunga, mica per niente fu lui a diffondere fra il Trecento e il Quattrocento il cristogramma IHS (per il greco Iesous) che più tardi sarebbe diventato l' emblema dei gesuiti e nelle prediche, trovata geniale, mostrava raffigurato su tavolette di legno per fissare l' attenzione del pubblico sull' essenziale. Gesù, la parola. In principio era il Lógos e all' inizio c' è la dimensione orale, perché Cristo parlava («Del resto anche tra i pagani Pitagora e Socrate, che furono eminentissimi maestri, non vollero scrivere nulla», notava Tommaso d' Aquino nella Summa Theologiae) e solo qualche decennio più tardi la buona notizia venne fissata in scrittura. «Che significa il cibo?», chiedeva Bernardino. «Significa la parola; che per andare a pigliare la parola, rimane presa l' anima, imperò che il corpo ha il diletto di pigliare quel cibo della parola. E se arai il diletto, subito rimarrai preso...».
Parrebbe l' abc, eppure mai come in questi tempi il tema è stato meditato, ripreso, discusso. La Chiesa è impegnata, con Benedetto XVI, nella «nuova evangelizzazione» del «primo mondo» occidentale, e sente più che mai la necessità di tornare alla predicazione originaria, il senso dell' inizio. E le cose si stanno muovendo. Perché nella famosa società ormai secolarizzata, scristianizzata, indifferente eccetera, i sacerdoti capaci di catturare l' attenzione e le chiese colme di fedeli, sorpresa, ci sono eccome.
E magari arrivano a prendersi un cinquantino come monsignor Raffaello Martinelli, da un anno il vescovo di Frascati, che per tener dietro agli impegni pastorali si è risolto, nel caso, a sfrecciare in motorino per le strade dei Castelli romani pur di tener fede, ad esempio, all' impegno di celebrare messa ogni domenica mattina come un parroco e, caso più unico che raro, confessare i fedeli tutte le settimane, il giovedì pomeriggio, con tanto di avviso appeso nella cattedrale. «Ho iniziato a gennaio e le prime volte qualcuno mi diceva: scusi, eccellenza, ma lei non ha più niente da fare? E io: abbia pazienza, ma qual è il compito di un prete e di un vescovo se non celebrare bene la messa e stare nel confessionale? L' importante è farsi trovare e la gente viene, lo dico sempre ai miei parroci, e se anche non viene preghi, leggi, non sprechi certo il tuo tempo...». Sarà anche per questo che tanta gente arriva ad ascoltare questo bergamasco di 62 anni il quale, prima della consacrazione episcopale, ne ha passati 23 alla Congregazione per la dottrina della fede guidata da Ratzinger. «L' essenziale, però, è non considerare l' omelia come un simposio nel quale esporre le proprie idee e teorie. Certo, io devo mettere la mia capacità di comunicazione, la preparazione e il metodo, ma il contenuto si deve focalizzare sui contenuti essenziali della fede». Nella cattedrale, in più, ha fatto distribuire libretti che spiegano la messa, come ci si comporta - tipo quando stare in piedi e quando seduti - e riportano le preghiere fondamentali. Il primo annuncio, come all' inizio del cristianesimo? «Certo, bisogna attenersi alle letture, perché è questo che la gente vuole: ascoltare la parola del Signore, non la mia, essere di Gesù e non di Raffaello o di pinco pallino». Questione di misura, sorride il vescovo: «Non si celebra un convegno, ma la messa. Che va rispettata nella sua proporzione, senza eccedere con la predica o la liturgia della parola, perché la celebrazione eucaristica non può essere solo l' omelia, ma è fatta anche dei riti, la preghiera, il canto e pure il silenzio: la persona deve respirare, in certe messe si chiacchiera troppo». Anche questo, o forse soprattutto questo, esige una solida preparazione. Sotto il pontificato di Benedetto XVI, non a caso un grande omileta, si è arrivati a riunire nell' ottobre 2008 un' assemblea generale del Sinodo dei vescovi dedicata alla «Parola di Dio» che ha suggerito la nascita di un «direttorio sull' omelia» - uno «strumento» appena rilanciato dallo stesso Papa «cosicché i predicatori possano trovare in esso un aiuto utile» - ed elencato una serie di indicazioni pratiche, a cominciare dalla definizione di un tema principale (guai a voler dire troppe cose) e dalla raccomandazione «di non superare gli otto minuti, tempo medio di concentrazione degli uditori», evitando così la fuga, lo strazio o il sonno dei fedeli. Sintesi, semplicità: tutti gli omileti lo ripetono. Mica per niente il verbo homilein, in greco, indica il parlare in modo familiare, uno stile piano.
E del resto proprio a Gesù, dal Vangelo di Luca, si fa risalire l' omelia probabilmente più breve (ed efficace) della storia, nella sinagoga di Nazaret, dopo che ebbe letto un brano di Isaia («Lo Spirito del Signore è sopra di me...») e chiuso il rotolo: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Punto. La lettura, l' ascolto, il riferimento all' oggi. Vale per le omelie come per le lectio bibliche. «Non è che io parli alla gente, è il testo che parla a me: e io dico ciò che il testo mi dice in quel momento».
In una cascina di Villapizzone, alla periferia di Milano, di là dai gasometri e la linea ferroviaria, le «catechesi narrative» del padre gesuita Silvano Fausti attirano da anni un' infinità di persone. Qui si fa ogni settimana la lettura e il commento di Marco, come base. Gli altri vangeli, le lettere o gli Atti (come quest' anno) vengono letti nella chiesa dei gesuiti a San Fedele. Studi di filosofia e teologia, dottorato in fenomenologia del linguaggio a Münster, padre Fausti, 70 anni, è uno degli autori cristiani più ascoltati e letti. Per capire il tipo, bisognava vederlo una decina d' anni fa, quando un incendio devastò la cascina e la sua biblioteca prese fuoco - ottanta metri lineari di scaffali in fumo, decine di migliaia di volumi rari, testi in ebraico, commentari del Seicento, libri di esegesi e filosofia in svariate lingue. Agli amici che andavano da lui, costernati, sorrideva allargando le braccia: «Per fortuna li avevo letti». Ecco, ci vuole cultura vera per andare oltre la mera erudizione. E saper parlare alle persone: «La gente non ascolta quello che dici, ascolta quello che senti. Per questo durante una lectio non sono mai io a leggere il Vangelo. Io ascolto, naturalmente dopo essermi preparato: gli studi non sono inutili, però il testo li supera tutti. È come diceva Dante, "quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch' è ditta dentro vo significando". L' efficacia della parola orale è lì, in questo sentire interiore. Tutto sta nel tempo che dedichi tu ad ascoltare, solo se ascolto e sento posso poi dire ciò che sento: San Paolo parlava di pleroforia, la pienezza di parola, tirar fuori il pieno e parlare con sincerità. Altrimenti puoi fare considerazioni vuote o dotte, o ripetere ciò che hanno pensato altri, e sarà tutto finto. Mentre la gente ha bisogno di cose vere come l' acqua e l' aria, le cose semplici che parlano a tutti perché tutti in fondo hanno la stessa esigenza di voler bene ed essere voluti bene, l' essenza del messaggio evangelico». Vedi il modello più alto, nei Vangeli: «Nella sua predicazione Gesù usa immagini quotidiane, il cielo, la terra, il lavoro, la casa, la barca, la semina, legge in tutta la realtà che abbiamo davanti agli occhi la dimensione più profonda che evoca quello che sei tu». È interessante notare come alcune considerazioni ritornino in predicatori diversissimi per formazione ed indole.
Alla periferia est di Roma, nel seminario della Fraternità dei missionari di San Carlo Borromeo, da lui fondata nell' 85, don Massimo Camisasca, 64 anni, sospira: «In generale, oggi, l' omelia è un' occasione perduta». E distingue tra la preparazione settimanale dell' omelia, «nessuno può pensare di improvvisare, prepararsi è un atto di rispetto verso Dio e verso la gente», e quella remota: «Molti preti non studiano più. Non leggono. La loro giornata è spesso così occupata in attività peraltro sacrosante da togliere loro ogni profondità: si può arrivare a dimenticare Cristo in nome delle cose che facciamo per Cristo». Storico di Cl e biografo di don Luigi Giussani - era uno degli studenti del «Gius», al liceo Berchet di Milano -, don Camisasca ha pubblicato quest' anno un saggio sul sacerdozio, Padre, che segnalava i pericoli dell' attivismo richiamando il valore del silenzio, della riflessione, dello studio. E della spiritualità: «Mi viene in mente ciò che disse il cardinale Ratzinger in Guardare Cristo: "La parola di Dio arriva a noi mediante uomini che l' hanno udita e attinta; mediante uomini per i quali Dio è diventato un' esperienza concreta e che, per così dire, lo conoscono di prima mano". Nella predicazione deve emergere ciò che vive colui che sta parlando, deve avere il sapore di un racconto esistenziale, non di una novella: parole che si nutrano di lettura, di meditazione e studio dei testi biblici». E, già che ci siamo, attingano «agli scritti dei Padri e dei santi, oltre ai classici: Omero, Virgilio, Dante, Shakespeare, Dostoevskij...». In ogni caso, la Chiesa non può che privilegiare la comunicazione orale, «non a caso prediletta già da Platone», anche perché «è lo strumento che le permette di raggiungere il maggior numero di persone». Basta considerare l' esempio di Benedetto XVI, «la sua omiletica è forse l' aspetto centrale del pontificato e lo pone, a mio parere, sullo stesso piano di Leone Magno o Gregorio Magno». A proposito di papi, Raniero Cantalamessa, 75 anni, frate cappuccino, studi di teologia e lettere classiche, è da trent' anni il predicatore della Casa pontificia, ovvero è l' uomo che si trova nella non facilissima condizione di dover fare le prediche a Benedetto XVI come già a Giovanni Paolo II. Da evitare assolutamente, padre? «Usare le parole di Dio come pietre da scagliare addosso alla gente!». Cantalamessa sorride: «Bisogna amare le persone a cui si annuncia la buona novella, altrimenti è meglio tacere. Ricordarsi di quello che diceva Sant' Agostino: "Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano". E sentirsi solidale con gli ascoltatori, usare il meno possibile il pronome "voi" e il più possibile il pronome "noi", soprattutto quando si sta parlando di vizi e di peccati. Io ripeto spesso a me stesso le parole di un santo monaco russo, San Serafino di Sarov: "Predicare è facile: è come scagliare pietre dall' alto di un campanile. È il praticare che è difficile: è come portare a spalla quelle stesse pietre da terra fino in cima al campanile"». Lo dice anche lui, che pure ha pubblicato innumerevoli libri: la parola detta è insostituibile. «Se, come scrive Kierkegaard, "la predicazione cristiana non è comunicazione di dottrina, ma di esistenza", si capisce il perché della superiorità della viva voce, rispetto al tramite scritto. Il vero predicatore, come del resto ogni vero oratore, non parla solo con la bocca, ma anche con gli occhi e con tutto il corpo. E mentre la comunicazione scritta si rivolge di preferenza alla mente, quella orale tocca il cuore». Ai giovani sacerdoti direbbe: «Volete annunciare Gesù Cristo? Innamoratevi di Gesù Cristo! Non si parla con ardore e convinzione se non di ciò di cui si è innamorati». E chi ascolta lo sente: «La gente, e non solo i credenti, sa riconoscere e apprezzare una predicazione che sia onesta, umile, fondata sulla parola di Dio e vicina ai problemi reali della vita. Quando una persona è alle prese con un problema esistenziale serio, come le crisi nei rapporti o i lutti familiari, si rende conto che il Vangelo è l' unica parola a misura del suo problema e della sua sofferenza». Del resto Benedetto XVI è tornato di recente sull' argomento. Nell' «esortazione» Verbum Domini, pubblicata l' 11 novembre, ha tirato le somme del sinodo sulla parola: «Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l' attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico». Confidenza con il testo sacro, preparazione. E umiltà: «Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo».
Vecchi Gian Guido
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(5 dicembre 2010) - Corriere della Sera
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