E finalmente la psichiatra ha dichiarato la mia guarigione dal disturbo bipolare
potete leggere la mia storia con l'articolo pubblicato dalla psichiatra della mia guarigione ho inserito anche l'allegato dell' articolo
Tutto è scoppiato nel Novembre 1999. E’ piombata dal cielo, improvvisamente per tutti, la mia sindrome bipolare. Dicevo di sentire delle voci e mi comportavo facendo ciò che le voci mi dicevano di fare, sono arrivato fino a credere di aver sentito la Madonna e a credere di essere figlio di Dio ritornato sulla terra. Avvenne così il mio primo ricovero nel novembre 1999. Cominciai così il mio calvario…. Nei primi mesi del 2000 avevo capito che parlare delle mie voci e dei miei pensieri era del tutto inutile e tempo sprecato, perchè tanto nessuno mi ascoltava e mi dicevano “lascia perdere”, lo psichiatra mi diceva “io non la penso così” e cercava di impormi i suoi pensieri e le sue ragioni. A quel punto decisi di dare a tutti ragione perchè non mi rompessero le scatole, anche se in realtà ci rimuginavo sempre. Sicuramente per me gli altri non avevano ragione, ma tanto credevo che loro non potevano capire … Ero stato talmente bravo a fingere che lo psichiatra mi aveva perfino tolto le cure, dicendomi che era stato un periodo di burrasca. Da li a poco tempo avvenne la morte di mio padre e, neanche a dirlo, ebbi un altro crollo finendo nuovamente ricoverato in psichiatria per un paio di settimane. Poi, uscito dall’ospedale, cominciai a cercare di fingere di star bene perchè così, credevo, mi avrebbero ritolto i farmaci. Ma, a distanza di 2/3 mesi, ebbi un altro collo e ritornai ad essere ricoverato in psichiatria per altre 2 settimane. In quelle due settimane, non so cosa mi sia successo, una sera sono andato a dormire e la mattina mi sono svegliato rendendomi conto che c’era qualcosa che non andava … Era come aver vissuto abitualmente nel caos e, all’improvviso, renderti conto che attorno a te regnava il caos. Questa volta però era nella mia mente il caos. …. Da lì capii che dovevo ricominciare a fare ordine nella mia mente… Da lì cominciai a perdere tutti gli amici, tranne i migliori (che li conto su una mano), sul lavoro non ero più capace di rendere, a causa delle cure farmacologiche, e sembravo un fannullone nonostante l’impegno che ci mettessi, a causa della malattia persi la fiducia di chi mi circondava ed infine anche la mia ex fidanzata. Capii però che dovevo dire le cose per come realmente erano altrimenti, a fingere di star bene, ero solo io a rimetterci…
Dopo qualche mese conobbi un’altra ragazza e ci mettemmo assieme. Ma la storia fu molto breve perché, dopo qualche mese, ebbi un altro ricovero e fu così che, per colpa del mio ricovero, finì anche la nostra storia.
Essere lasciati perchè hai una malattia che non è una cosa che dipende dalla tua volontà. Vi posso dire che è una delle cose peggiori che fin ora ho provato.
Nel mio dolore e nella mia sofferenza per fortuna avevo al mio fianco delle persone che mi volevano bene: la famiglia, i parenti e gli amici rimasti.
Trovai allora la forza per andare avanti e per continuare nella mia lotta contro la malattia senza mollare.
Cominciai lentamente a studiarmi e a voler capire cosa mi accadesse quando andavo in crisi e perchè andavo in crisi. Nessun psichiatra me lo aveva mai spiegato.
Al massimo mi dicevano che nel mio cervello si formavano delle cellule negative che mi mandavano in crisi. Ma io, alla fine, rimanevo al punto di partenza perchè era come non avermi dato nessuna spiegazione. In pratica non mi avevano spiegato nulla.
Intanto cercavo di andare avanti con le zavorre (i farmaci).
Le persone che mi circondavano stentavano a capire che la mia lentezza era causata dalle cure farmacologiche e non capendo questo, a volte, me lo facevano pesare. Ma credo che se fossi stato al loro posto avrei fatto la stessa cosa anch’io: per chi non conosce nulla dei farmaci e della malattia sembra quasi impossibile credere che un farmaco possa renderti così impedito.
Nel tempo libero cercavo di stare in mezzo alla gente, frequentando un locale della zona, anche se il problema si faceva sentire e, nella solitudine, il pensiero era sempre al lavoro.
Cercai così di provare a fare un qualcosa di diverso e iniziai ad andare al Centro Benessere e a fare dei corsi di ballo: dovevo cercare di non rimanere solo.
Arrivò così il 19 marzo 2004, giorno della festa del papà, e, nel locale della zona dove andavo abitualmente, conobbi Maria e fu un colpo di fulmine a ciel sereno per entrambi.
In seguito gli raccontai del mio problema e la mia situazione, lei apprezzò la mia sincerità e mi disse “voglio provare a stare al tuo fianco e ad aiutarti. Ma non ti assicuro che riesca a farlo”. Gli raccontai del mio passato e lei, dentro di lei, diceva “vorrei mostrargli che se stesse male ed andasse in crisi anch’io gli starei vicino”. Neanche farlo a posta lo psichiatra mi aveva detto di prendere solo il Depakin lo stabilizzante d’umore, ed io gli dissi ma il Risperdal (il neurolettico ) non serve? E lui mi disse: no, è sufficiente lo stabilizzante perchè ora sei solido. Io gli risposi: ma guardi che una primavera senza l’aiuto del neurolettico non sono mai riuscito a superarla; quando non prendevo i neurolettici, in primavera, mi è sempre venuta una crisi. Lui mi rispose di stare tranquillo.
Arrivò il mese di giugno 2004 e io incominciai a notare i sintomi della crisi: non dormivo la notte, il mio pensiero era fisso su un argomento, giorno e notte. Nello stesso tempo mi dicevo “dovrei prendermi un neurolettico”, ma poi mi rispondevo “lo psichiatra mi ha detto che è sufficiente lo stabilizzatore, quindi non dovrei andare in crisi”. Poi è meglio che non lo prenda, mi sono detto, altrimenti gli altri si preoccupano perchè sto male, e io non devo star male quindi è meglio che non dica niente a nessuno e non prenda altri farmaci oltre allo stabilizzatore … e sapete qual è stato il risultato di tutto questo? Un altro bel ricovero di 15 giorni in psichiatria, un bel risultato! …
Mia moglie ebbe così la possibilità di vedermi in crisi.
Durante il ricovero ospedaliero, nel riflettere e osservare gli altri, capii che parlare non serviva a nulla: dovevo riuscire a far vedere ciò che pensavo, perchè sono tutti come San Tommaso: o vedono o non mi credono.
A quel punto dissi che avevo capito gli altri e sapevo come aiutarli e mia moglie mi rispose “ma cosa vuoi aiutare gli altri, guardati te! prima cerca di star bene te e non venir più in ospedale e poi puoi aiutare gli altri, ma fin che non stai bene te, e finisci in ospedale, non puoi essere in grado di aiutare nessuno!”.
Questa sua frase mi fece molto riflettere dovetti ammettere che aveva ragione: dovevo guardare me e star bene.
Mi dimisero dall’ospedale e quando fui a casa, come sempre, mia madre mi dava i farmaci prescritti e controllava che li prendessi.
Allora mia moglie incominciò a svegliarmi e mi disse: ma sei capace di prenderli da solo i farmaci? Impara ad arrangiarti!
In effetti aveva ragione: per colpa della paura di mia madre mi era sempre stato impedito di prendere da solo i farmaci.
Allora impuntai i piedi e dissi a mia madre che mi sarei arrangiato a prendere i farmaci e che non volevo che lei mi controllasse più. Cercava di controllarmi indirettamente, attraverso mia moglie (dico sempre mia moglie, ma allora non eravamo sposati..).
Questo fu il primo aiuto che gli altri non mi avevano mai dato e cioè darmi fiducia e responsabilizzarmi.
Dopo un pò di tempo, però, mi sono detto: non posso continuare così, se continuo così va finire che perdo anche lei come le altre. Però non posso buttare i farmaci altrimenti domani sono ricoverato in psichiatria. Ma non posso nemmeno continuare in questo modo con i farmaci!
Allora ho iniziato a valutare la mia situazione e sono arrivato a capire che non avevo nulla da perdere perchè, mal che andasse, avrei perso Maria e quindici giorni di ospedale. Cosa che se, continuavo così, sarebbe ugualmente accaduta vista l’esperienza precedente.
Non sapevo più dove sbattere la testa, non volevo si tornasse a distruggere nuovamente tutto per colpa della malattia, non volevo perdere Maria e rivivere l’inferno del passato.
Allora, mi sono detto, devo basarmi su dei dati certi, concreti e capire perché, alla fine, la malattia vince sempre: non gliela dovevo più dar vinta.
Di certo sapevo che l’aumento di tensione mi scatena le allucinazioni e l’aumento di tensione scatena le allucinazioni. Io lavoro come elettricista quindi ho cominciato a confrontarmi con questo concetto. Ho considerato un motore elettrico e ho aumentato la tensione, visto che l’aumento di tensione scatena le allucinazioni, e cosa è accaduto? il motore gira più velocemente ma poi gli avvolgimenti del motore si surriscaldano e si bruciano. Ho provato allora a ridurre la tensione, visto che nel mondo della depressione abbiamo scarsa energia e non abbiamo voglia di far nulla e vediamo il mondo nero, e cosa è successo? … abbassando la tensione il motore elettrico gira ugualmente ma fa più fatica. E cosa succede facendo fatica? va sotto sforzo e, se ci rimane troppo a lungo, si surriscaldano gli avvolgimenti e si brucia.
A quel punto mi si è accesa una lampadina e mi sono detto: cavoli!, il motore con l’aumento di tensione o con il calo di tensione si brucia allo stesso modo! Allora mi sono detto: se il mio corpo funziona con gli impulsi elettrici, sia nel mio stato depressivo sia nel mio stato euforico, deve esserci un punto in comunione!
Ho iniziato ad analizzare i miei stati depressivi ed euforici, confrontandoli, e il punto uguale dove la mia mente mi manda in crisi l’ho trovato. Nello stato depressivo vedo tutto ciò che mi circonda in modo negativo, entrando così in un mondo nero. Nello stato euforico vedo tutto ciò che mi circonda in modo solo positivo e senza problemi, entrando così nello stato eccessivamente euforico. Quindi il punto in comune, in entrambe le situazioni, è il cambio d’interpretazione della realtà.
E’ come quando facciamo un movimento col braccio destro davanti allo specchio: io muovo il braccio destro e lui fa lo stesso movimento nel senso opposto: lo specchio, il movimento, lo fa identico ma col braccio sinistro. Così è il cambio della mia visione della realtà nel mondo euforico e depressivo: il movimento non cambia. Tutto ciò che mi circonda mi riguarda e ne sono partecipe: nel mondo depressivo ho tutti contro, nel mondo euforico sono un figlio di Dio e credo di poter riuscire a fare i miracoli.
Dopo questi ragionamenti finalmente ero riuscito a farmi un idea di ciò che mi accadde quando vado in crisi, cosa che molte volte avevo chiesto e mai nessuno era riuscito o non aveva mai voluto spiegarmi.
A quel punto quando ho incontrato il mio psichiatra gli ho detto “ma sai che la mia prima crisi che ho avuto nel 1999 e quest’ultima del 2004 sono uguali?”. Lui mi guardò con aria perplessa come per dire: ma che cavolo dici? Io gli dissi: sì, sono identiche perchè nella crisi del 1999, andando a messa, percepivo le parole del parroco come se io dovessi fare le cose che aveva fatto Gesù, nell’ultima crisi percepivo le parole di una trasmissione radiofonica come se stessero parlando del mio caso in radio. Ma in realtà non era così. Cambia il soggetto in questione. Dite che questa è una crisi più leggera rispetto alla prima, ma alla prima non avevo esperienza e mi è piovuta dal cielo e quindi ho impiegato 3 anni per rendermene conto, nell’ultima ho un’esperienza alle spalle e, quando ha fatto effetto la cura farmacologica, ho capito di essere stato in crisi e che ciò che ho sentito è stato un fraintendimento del dialogo radiofonico e quindi in breve tempo mi sono rimesso in riga.
Quindi cambiano i soggetti, i tempi dalla prima all’ultima. Ma non il gioco che la mia mente ha fatto per farmi ricadere.
Era rimasto senza parole.
A quel punto capito il gioco che fa la malattia con me. Ho provato anch’io a giocare con lei per cercare di vivere meglio e star bene.
Cominciai, all’insaputa di tutti tranne che di Maria, a gestire da solo i miei farmaci in base a come mi sentivo.
Cominciai a diminuirli molto lentamente fino a rimanerne senza. La mia normalità durò qualche mese senza farmaci e poi i sintomi della malattia ricominciarono a riattacarmi.
Cominciai con il fissarmi con un pensiero fisso, a perdere la concentrazione nel lavoro, a non dormire più la notte e a fraintendere i messaggi di ciò che mi circondava ma, vista l’esperienza negativa avuta e la conoscenza che avevo scoperto sulla mia malattia analizzandomi, corsi subito ai ripari assumendo di nuovo la terapia per qualche giorno, fino a che i miei sintomi ritornarono a scomparire. Una volta passato l’attacco della malattia, ritornai a ridiminuire i miei farmaci e a camminare nuovamente da solo, senza l’aiuto dei farmaci.
Nessuna persona che mi circondava aveva notato nulla, tranne Maria che sapeva tutti i miei movimenti ma non diceva nulla a nessuno perchè aveva fiducia in me e credeva che ci potevo riuscire.
Ci fu un periodo in cui il mio caposquadra si ammalò e il mio datore di lavoro si trovò costretto a farmi assumere, temporaneamente, il suo posto di caposquadra. Mi trovai sotto stress e tensione e, neanche a dirlo, i sintomi ritornarono a riaffiorare. A quel punto ritornai a riassumere i farmaci e strinsi i denti: ce la dovevo fare a gestire la situazione lavorativa senza crollare. Era come vedere la crisi da un vetro, mi bastava sbagliare una mossa e sarei rimasto fregato un altra volta. Ma, per fortuna, questa volta la malattia non la ebbe vinta, riuscii a portare avanti il lavoro anche con i farmaci da me gestiti in base a come stavo fino al rientro del mio collega. Per me fu un primo passo e, anche se ho dovuto stringere i denti, fu una grande soddisfazione. Poi come sempre, passati i sintomi della crisi, sospesi i farmaci.
Andai avanti così per circa un anno e, quando ebbi la sicurezza che la cosa poteva funzionare visti i primi risultati, decisi di renderlo noto.
Lo comunicai a mia madre, allo psichiatra ed al mio medico condotto di allora. Mia madre non s’intromise molto, fu presa dal panico, ma vista la mia stabilità non potè dire più di tanto. Gli psichiatri non mi credevano allora, visto che tra Depakin e Haldol avevo a casa 50 scatole di farmaci prescritti e non usati, 30 scatole pensai di riconsegnarle indietro così, dopo essergli usciti gli occhi dalla testa alla vista dei farmaci, loro malgrado, dovettero prendere coscienza della situazione e andarono nel caos in quanto significava non avere più in mano il controllo della mia situazione. Il mio medico condotto mi consigliò di provare a fare 2 chiacchiere con una psicologa, ma, come cominciò ad ascoltarmi, scappò. Il primo giorno ci siamo presentati, il secondo incontro ho cominciato a raccontargli che, quando stavo male, ero perseguitato dal demonio perchè fraintendevo la realtà che mi circondava. La sera chiamò disperata il mio medico condotto e la psichiatra del centro che frequentavo dicendo che lei non era in grado di seguirmi. Il terzo incontro mi salutò.
A quel punto decise di prendere in mano la situazione il mio ex medico condotto, fuori dai suoi orari di lavoro, vedendomi ogni 2 settimane.
Avendo capito che la malattia mi fregava facendomi fraintendere la realtà decisi che quando mia moglie aveva la possibilità di accompagnarmi agli incontri con gli psichiatri entrasse con me in ambulatorio per evitare fraintendimenti e poter essere sicuro che i messaggi degli psichiatri li percepissi in modo corretto e loro percepissero in modo corretto le cose che volevo comunicare a loro. Come interpretavo scorrettamente la realtà, rischiavo anche spesso di trasmettere un messaggio in modo errato, non esponendolo in modo corretto rischiavo che chi avevo di fronte mi fraintendesse.
Il risultato: all’inizio lo psichiatra disse a Maria “puoi essere un ottima collaboratrice”, successivamente “mi stai rubando il lavoro”, infine non la volevano più vedere in ambulatorio con me perché, con un testimone al mio fianco che non si faceva influenzare da loro, non erano in grado di gestire la situazione e rigirarmi le cose come quando ero solo in ambulatorio.
La psichiatra del centro che frequentavo mi disse che il mio posto era dentro le quattro mura dell’ambulatorio e non dovevo andare in giro da una parte all’altra. Ma io le risposi che avevo la libertà di andare dove voglio e che, sicuramente, se mi va di raccontare la mia storia a qualcuno lo posso tranquillamente fare senza il suo consenso. A quel punto abbassò le orecchie e stette zitta.
Il mio ex medico condotto invece mi prese subito in considerazione, mi ha visto dal primo giorno che sono andato in crisi a tutt’ora. Cominciai con raccontagli che mi ricordavo perfettamente il giorno del primo ricovero, le parole che mi aveva detto lui e chi mi circondava e che di tutto mi avevano detto tranne che mi avrebbero ricoverato in psichiatria. Lui restò molto stupito perché, pur essendo in uno stato confusionale, mi ricordavo perfettamente ciò che era accaduto e restò sorpreso della mia memoria.
Mia moglie, quando poteva, era sempre presente. Cominciò a pormi domande che mi facevano riflettere e mi facevano cercare delle risposte concrete sui miei comportamenti. Per esempio mi chiese: “ti ricordi che mi dicevi di essere un figlio di Dio. Perchè credevi di essere figlio di Dio?”. Non potevo mica rispondere perchè ho sentito la Madonna ed ho una missione da portare a termine, come avrei risposto quando stavo male! Mi presi tempo per riflettere ed analizzare la situazione.
La volta successiva le dissi “ora sono in grado di spiegarti perchè dicevo così. Quando stavo male, per via della mia sofferenza, mi sono buttato nella religione perchè riuscivo a trovare molte risposte alle mie domande. Poi, che le risposte fossero reali o no, non aveva importanza: trovare una risposta significava soffrire di meno. Giusto o sbagliato che fosse sul piano psicologico. La religione, piano piano, si trasformò così in un ossessione che mi portò a interpretare scorrettamente il modo di percepire la realtà. A ciò che leggevo, a ciò che sentivo a messa o a ciò che dicevano le persone che mi circondavano, non ero più in grado di darne il senso corretto. Mi vedevo sempre partecipe, credevo che tutto ciò che dicevano o leggevo non era Gesù, il figlio di Dio, che aveva detto e fatto, ma lo percepivo come se dovevo dirlo o farlo io. Diventai così un figlio di Dio, ricoverato in psichiatria.
Ne restò molto meravigliata.
Allora, mi chiese, e la Madonna come hai fatto a sentirla?
Anche qua dovetti analizzare parecchio la mia situazione e, dopo una lunga ricerca dentro me stesso, arrivai a capire pure come avevo fatto a sentire la Madonna e vari miei defunti cari.
Le voci che sentivo, in realtà, non erano altro che le risposte ai miei ragionamenti. Ora vi spiego come facevo a sentire le voci: tutte le persone, quando hanno un aumento di tensione dovuto ad un grosso problema, a una grossa preoccupazione, cosa fanno quando sono sole? Valutano la situazione ponendosi delle domande e dandosi delle risposte sane o malate che siano. E’ vero che non c’è più sordo di chi non vuol sentire ma il male lo sentono anche i sordi, quindi non si sentono solo le voci tramite le orecchie ma si possono sentire tutte le sensazioni. La differenza tra il sano ed il malato, in questo caso, è che il sano nel valutare la situazione è cosciente che sta valutando e parlando tra sè e sè nella solitudine; il malato invece fa la stessa cosa ma, invece che parlare e valutare la cosa tra sè e sé, è convinto di valutare le situazioni tra sè e colui che in quel momento è nel suo pensiero, associa le risposte che dà il proprio ragionamento alla voce della persona che stà nel suo pensiero. A quel punto posso arrivare al punto di dire che ho sentito la Madonna o qualche mio caro defunto.
Decisi così di chiudere i rapporti col mio psichiatra che mi seguiva privatamente e tenere solo i rapporti col centro in cui andavo. A quel punto, visto che non aveva altra soluzione, la psichiatra mi disse ok, fai come credi, ma tienimi informata di ciò che fai, se prendi più o meno farmaci, se li prendi o non li prendi e perchè. Io accettai, a ogni incontro raccontavo nei minimi dettagli ciò che avevo fatto con le terapie. Dopo qualche incontro dove io stavo là a raccontare tutto nei minimi dettagli in modo serio e puntiglioso, andai a un incontro e, mentre stavo in sala d’attesa, arrivò la mia psichiatra e mi chiese: ”cosa fai tu qua?”. Io dissi: “come cosa faccio qua? Ho l’appuntamento con lei!”. Fortunatamente con me era presente Maria, altrimenti non mi avrebbe creduto nessuno se raccontavo una cosa del genere. Lei mi rispose: “a me non risulta proprio, comunque, già che sei qua, quando ho finito con chi ha l’appuntamento ti vedo”. Io non avevo con me il biglietto dell’ appuntamento per contestarla, quindi mi venne il dubbio di non aver sbagliato giorno, anche se ciò non era mai accaduto. Non mi restò altro da fare che ringraziarla del favore di vedermi.
Appena andai a casa verificai il biglietto dell’appuntamento ed era giusto come avevo detto io: avevo l’appuntamento! A quel punto vi lascio immaginare quanto mi sono arrabbiato e l’aumento di tensione che mi venne addosso. Cominciarono a ritornarmi i sintomi delle crisi e dovetti così aumentare subito la dose dei farmaci. La mattina seguente chiamai il mio ex medico condotto e gli raccontai l’accaduto. Mi disse di andare subito da lui, vide così che, se pur ero in un inizio di crisi, avevo avuto la lucidità di prendermi i farmaci e mi rendevo conto della situazione. Gli dissi che però volevo fare come da prassi, per mostrare agli psichiatri che mi seguivano che mi facevano più male che bene, facendo vedere loro i risultati dei loro comportamenti. Lui mi accontentò e mi mandò al pronto soccorso, se era come tutte le altre volte poi mi ricoveravano. Andai al pronto soccorso e quando mi trovai davanti alla psichiatra di turno le raccontai tutto ciò che era successo e mostrai anche a lei che, pur essendo in preda ad una crisi, pur essendo finito al pronto soccorso, avevo la lucidità dello stato in cui ero e le dimostrai che se non fossi stato in grado di rendermi conto da solo che dovevo assumere i farmaci e prenderli, non sarei stato in grado di mantenere la lucidità ed andare al pronto soccorso con i farmaci in tasca. La psichiatra non sapeva più cosa fare e mi disse che se ciò che dicevo fosse stato vero, loro potevano chiudere baracca e burattini. Allora io le feci l’esempio di quando sono uscite le macchine fotografiche digitali, che tutti i fotografi sconsigliavano perchè non andava bene per varie motivazioni. Ma mi sa che ora si sa che la digitale non va poi così male, tanto che la usano quasi tutti e molti fotografi hanno dovuto chiudere il negozio perchè non vendono più rullini e stampano molte meno foto. A quel punto le dissi che credevo di non aver più bisogno di loro in quanto, nella mia esperienza, gli psichiatri sono stati solo in grado di dirmi di prendere una pastiglia in più o in meno, in base a come dicevo di stare. Quindi, se mi accorgo dei sintomi e vi devo chiamare per dirvi che non sto bene, so già da me la vostra risposta: una pastiglia in più o in meno in base a ciò che vi dico. Se mi rendo conto (e non son scemo) mi posso arrangiare da solo. Se invece, come dite voi, un paziente non può essere in grado di capire quando va in crisi, come faccio io a chiamarvi e dirvi che non sto bene se non mi rendo conto? A quel punto io non posso venire da voi, mi ci porterà eventualmente chi mi sta al fianco, quindi, al momento, non mi servite più. La psichiatra a quel punto non seppe più che dire e che fare, provò a dire “io ti consiglio di ….”. Ma io le risposi che dei loro consigli non mi fido più, visti i risultati che loro hanno ottenuto con me. A quel punto ritornai dal mio medico e gli mostrai che non erano stati in grado di ricoverarmi questa volta perchè ero riuscito a mantenere calma e lucidità in un attacco di crisi.